Rifiuti: quelli della Basilicata vanno al Nord. Mancano impianti, ne servirebbero secondo Conai almeno sei.
L’organico e l’ “indifferenziato secco” finiscono in molti casi al Nord – in Italia o in altro Paese del Nord Europa – per carenza di impianti in Basilicata. Il costo di trasporto, chiaramente, lo avvertono i cittadini quando si tratta di corrispondere la TARI (il tributo che finanzia i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti).
Secondo il Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) mancherebbero all’appello in Basilicata almeno sei impianti, il cui costo di realizzazione di aggirerebbe sui 68 milioni di euro.
Nella gestione dei rifiuti e della valorizzazione degli stessi, pesa in particolar modo l’assenza di impianti di “compostaggio combinato aerobico e anaerobico”, impianti di trattamento terre, impianti trattamento assorbenti, impianto trattamento ingombranti.
Gli impianti di compostaggio combinato aerobico e anaerobico sono quelli che consentono il trattamento degli scarti umidi per la produzione di biogas e compost di alta qualità. Sempre secondo il Conai, la realizzazione degli impianti avrebbe ricadute occupazionali interessanti, infatti sarebbero assunti almeno 71 lavoratori.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha destinato delle risorse (2 miliardi su scala nazionale) per la realizzazione di nuovi impianti. La Basilicata ha candidato tre progetti per un valore complessivo che supera i 100 milioni di euro da destinare all’impiantistica di base: cassonetti, isole ecologiche, risorse per la creazione di stabilimenti he si occupano della valorizzazione dell’umido.
Per un impianto di compostaggio, che ha tempi abbastanza, potrebbe volerci più di un anno.
CONAI
si tratta del Consorzio Nazionale Imballaggi che ha come scopo quello di promuovere il sistema integrato che si basa sulla prevenzione, sul recupero e sul riciclo dei sei materiali da imballaggio: acciaio, alluminio, carta, legno, plastica, bioplastica e vetro. CONAI collabora con i Comuni in base a specifiche convenzioni regolate dall’Accordo quadro nazionale ANCI-CONAI e rappresenta per i cittadini la garanzia che i materiali provenienti dalla raccolta differenziata trovino pieno utilizzo attraverso corretti processi di recupero e riciclo.
Cos’è la TARI?
La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.
La TARI è stata introdotta, a decorrere dal 2014, dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) quale tributo facente parte, insieme all’imposta municipale propria (IMU) e al tributo per i servizi indivisibili (TASI), dell’imposta unica comunale (IUC). Dal 2014, pertanto, la TARI ha sostituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2).
La legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio per il 2020) ha successivamente abolito, a decorrere dall’anno 2020, la IUC e – tra i tributi che la costituivano – la TASI. Sono, invece, rimasti in vigore gli altri due tributi che componevano la IUC, vale a dire l’IMU, come ridisciplinata dalla stessa legge n. 160 del 2019, e la TARI, le disposizioni relative alla quale, contenute nella legge n. 147 del 2013, sono state espressamente fatte salve.
I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo [art. 1, comma 668, della legge n. 147 del 2013].
Nella foto da wikipedia un impianto industriale di compost