
Titolo: I verbi ausiliari del cuore
Autore: Péter Estherhàzi
Genere: Letteratura ungherese
Casa editrice: Edizioni e/o
Data di pubblicazione: gennaio 1988
Formato: cartaceo
Pagine: 141
E non avevamo la calma di alleviare la nostra situazione mediante ragionamenti e confessioni, di riconoscere che non riuscivamo a essere all’altezza del nostro lutto, che non eravamo sconcertati dalla sfacciataggine della sopravvivenza, che tutto questo non ci doleva abbastanza;…”
In I verbi ausiliari del cuore lo scrittore ungherese Peter Estheràky maneggia un argomento delicato per tutti: la morte della madre. E lo fa in un modo fuori dagli schemi, non convenzionale, forse, ma nel modo più prevedibile dal punto di vista umano: perdendo la ragione. Il racconto di questo evento atroce segue un delirio lucido. Sembra di esser di fronte ad un quadro surrealista di Dalì: Estheràky si crea una realtà che sfugge da quella dominata dal dolore presente e che prende in prestito da essa gli elementi più banali e quotidiani.

Quando perdiamo una persona cara ci aggrappiamo con tutti noi stessi a elementi comuni che ora acquistano un valore speciale: quello della vita integra prima dello strappo affettivo. Ed è allora che la scritta skoda sul carro funebre, il colore della cravatta, la colazione del mattino, sono tutti elementi degni di esser impressi su carta. Leggere questo racconto intimo e sofferto è come camminare su un marciapiede sconnesso: il dolore ha trasformato la retta via della ragione, come un terremoto fa con le strade. Il lutto ha limitato la facoltà di parlare dell’autore: le parole sono poche, ermetiche perché le crepe del dolore sono così profonde da sequestrarle nell’anima del figlio e non farle uscire tutte. Le parole che riescono a sfuggire dalla presa crudele della morte sono dense e cariche di significato; dietro di esse si nasconde una buca profonda, il lavorio profondo dell’inconscio. Seguendo la corrente inversa alla sua natura matematica e ordinata, Ezheràky segue l’onda caotica delle emozioni, dei ricordi, della fantasia regalandoci un libro sperimentale, originale, paradossale su un tema incisivo nella vita di ogni uomo, ossia la perdita della donna che gli ha dato la vita. Il tono non è sentimentale, strappalacrime e mieloso. La madre è descritta durante la sua malattia senza nascondere le bruttezze che essa comporta. Si potrebbe accusare di aridità e distacco il figlio. Mi piace pensare a un modo tutto umano di ricordare, di vivere e condividere il dolore, di esorcizzare le difficoltà. Se i verbi ausiliari del cuore non sono pagine dalla dolcezza del miele, forse sono l’arnia, con le api indefesse intente al lavoro del nostro inconscio. Ognuno di noi, a nostro rischio e pericolo, durante la lettura, potrà ricavarne il famoso nettare degli dei e la dolcezza di un addio.
Péter Esterhàzy (Budapest 1950) scrittore ungherese. Laureatosi in matematica (1974), dal 1978 si è dedicato esclusivamente alla letteratura, rivelandosi fin dalle prime opere un pioniere del postmodernismo. Nel 1996 ha ottenuto il premio Kossuth. Di antica famiglia aristocratica, laureato in matematica, è fra i protagonisti della letteratura magiara con romanzi e racconti di colta, giocosa sottigliezza linguistica: Romanzo di produzione (1979, nt); Una piccola pornografia ungherese (1984); I verbi ausiliari del cuore (1985); Il libro di Hrabal (1990); La costruzione del nulla (1991). Nel monumentale Harmonia caelestis (2000) si ispira alle vicende della sua famiglia, che affondano nel Cinquecento, e sconvolgendo i tempi narrativi impagina una narrazione originale, impregnata di una profonda ironia; ma nel’edizione corretta di «Harmonia caelestis» (2002) prende le distanze dalla figura paterna dopo la scoperta del suo passato di collaboratore della polizia comunista.