Tutti coloro che, l’11 settembre 2001 avevano più o meno dai vent’anni in su, molti dei quali oggi sono seri e posati padri (e madri) di famiglia (e alcuni addirittura già nonni), ricordano bene come, da quel momento, che ha rappresentato una tragedia planetaria e non solo statunitense, il focus di ogni attenzione dei servizi di sicurezza e dei network d’informazione mondiali sia diventato il fondamentalismo terroristico islamico.
Per anni, abbiamo vissuto nel sospetto dell’altro, del diverso da noi, soprattutto se questa diversità e quell’alterità erano connesse con l’appartenenza al grande e per molti misterioso mondo islamico.
Decine di inchieste ufficiali e non, giornalistiche, radiofoniche, televisive e sulla Rete ci hanno proposto letture più o meno paurose ed agghiaccianti del pericolo islamico: addirittura un presidente di non grande genio, ma di straordinaria fortuna politica e personale, come George Bush, ha potuto fare il bello e cattivo tempo per due mandati, proprio a causa di quel traumatico evento.
Poi c’è stato Obama, portatore inizialmente di grandi speranze, ma anche lui, alla fine, appiattito sulla retorica anti-islamica e fobico-terroristica che lo spinse, in una con la immarcescibile Clinton, a dare la caccia ed ammazzare nel suo rifugio Osama Bin Laden (lo stesso che, per anni, con la sua famiglia, aveva fatto affari ed aveva avuto eccellenti rapporti ben più che diplomatici con gli U.S.A.; ma questa è un’altra storia).
Obama si è fatto i suoi due bei mandati pieni (2008/2016), aprendo, con la sua politica fallimentare da molti punti di vista, la strada all’affermazione dell’improbabile Trump che, adesso, si prepara per la campagna di rielezione che si terrà nel prossimo anno a novembre.
Nel frattempo, in America e nel mondo, sono successe tante cose, cose che col terrorismo islamico e col mondo arabo non hanno proprio nulla a che vedere: eppure è morta della gente, sono morti uomini innocenti, ragazzi, bambini e i sopravvissuti, disperati, stanno combattendo con tante domande assillanti e tanti quesiti a cui pochissimi sembrano voler dare una risposta.
Quella che si sta profilando già da alcuni anni negli Stati Uniti, già sotto la presidenza Obama, è una nuova emergenza democratica: quella del terrorismo bianco.
Se prima le fattezze del terrorista disegnato nell’immaginario collettivo prendevano quelle del siriano, del libanese, del libico coi capelli e gli occhi neri, il colorito olivastro ed il linguaggio pieno di aspirazioni proprie delle terre dei minareti e dei muezzin, oggi il vero problema, il reale pericolo per gli americani (e per tanti europei che non si rendono conto di questa nuova emergenza) è che il ‘terrorista’ che prepara l’attentato, che piazza la bomba o che entra armato più di Rambo in un centro commerciale e fa una strage, ebbene, quest’uomo è spesso un W.A.S.P., un whithe anglo-saxon protestant, un bianco di un metro e ottanta, biondo e con gli occhi azzurri, dall’inglese fluente, sposato, con figli, devoto praticante di questa o quella chiesa cristiana più o meno di nicchia.
Già dieci anni fa, Cassandra inascoltata dal governo americano, Daryl Johnson, analista del DHS (Department of Homeland Security) aveva rivelato il pericolo che, nel suprematismo bianco, nell’estremismo di destra internazionale, nei rigurgiti neonazisti e nelle nostalgie a tre ‘K’ (Ku Klux Klan) si nascondesse la nuova bomba ad orologeria della società statunitense. Ora, quelle intuizioni che popolavano decine di report segretissimi, sono finite nel saggio ‘Hateland’ dello stesso autore.
Persino Christopher Wray, direttore del Federal Bureau of Investigation (FBI), nella sua audizione di fronte alla camera dei deputati U.S.A. dell’aprile 2019 ha affermato che la minaccia del suprematismo bianco è persistente e pervasiva.
La rivista specialistica Vice News va ancora oltre, parlando della possibilità che si sia creata o si stia creando una sorta di internazionale nazifascista transnazionale, proiettata ad una futura ‘guerra razziale’ che tenga insieme i tanti, troppi ‘cani sciolti’ dell’estremismo anarcoide di destra americano e non. Che poi le reti ideologiche nazifasciste sulle quali viaggiano i messaggi di odio e di violenza fossero trasversali da una parte all’altra dell’Atlantico ce lo aveva già detto anche il direttore di Moonshot CVE qualche tempo fa.
Alcuni analisti, addirittura, temono che, all’interno delle forze armate americane, esistano (e vengano ben sopportate) sacche di razzismo, di estremismo ideologico e politico bianco o di simpatia per le dottrine neonaziste: è di poco tempo fa l’arresto di un tenente della Guardia Costiera, cinquantenne, sposato e padre di due figli, arrestato con un vero arsenale in casa (cinque fucili, sei pistole, tre mitra di cui uno da campo e munizioni per farci una guerra) accusato di aver ideato l’omicidio politico di numerose personalità delle istituzioni e dell’informazione a stelle e strisce.
Prima il nemico lo si immaginava lontano, differente, incomprensibile nella lingua e nelle abitudini religiose, alimentari e di abbigliamento: ora il nemico è affianco a noi, forse, addirittura, dentro di noi.
E gli americani ne hanno paura.