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Ilenia Filareti

Ilenia Filareti ha pubblicato 45 articoli

Ilenia Filareti

La prova del miele di Salwa Al-Neimi. Il tabù e il suo contrasto

in Cultura/Storie d'Inchiostro
Fabio Fabbi “Harem” 1912

La copertina non inganna. La prova del miele è un libro sul sesso, sull’intimità vissuta tra l’autrice araba e i suoi uomini, in particolare sul Pensatore, un uomo con il quale condivideva a letto poesie e orgasmi, e il cui ricordo riemerge dalla nebbia della dimenticanza, tirato su dalla lenza dell’ incombenza lavorativa della stesura di un articolo sulla letteratura erotica araba.  Se siete riservati, reticenti a violare i segreti celati tra le vostre lenzuola, forse , perché no, un po’ bigotti e perbenisti come la sottoscritta, troverete delle difficoltà a portare a termine la lettura di questo libro che vi catapulterà nel campo minato dei sentimenti e degli istinti.

Se, per contro, adorate i contrasti, quel gusto agro-dolce di alcune cucine esotiche, non potete farvi passare sotto il naso questo piatto letterario senza assaporarlo. Se alzate il coperchio di questa pietanza vi troverete ciò che nessuno ha il coraggio di svelare attraverso la voce  di una donna araba che si racconta e ci racconta  la sua vita sessuale libera dai sentimenti, che corre su un binario parallelo alla  vita pubblica. Mettendo le dita in questo barattolo di “miele proibito” resterete letteralmente incollati alla lettura e avrete l’impressione di sentire come un suono metallico, lo stridore delle ruote del treno della vita ancestrale, una forza di attrito tra l’argomento “tabù” e l’essere una donna, figlia di una cultura che tende a coprire più che a svelare.  A  Salwa Al- Neimi si deve il merito di aver cancellato nelle sue pagine l’immagine della donna repressa, dal volto coperto  che ci hanno regalato, purtroppo, alcuni stati moderni arabi ed estremisti. L’ autrice ci fa  fare un salto nel tempo, nell’ Oriente delle “Mille e una notte”, in cui il sesso si viveva con naturalezza e spontaneità, come un dono di Dio da coltivare e sul quale  dispensare consigli ed insegnamenti ad ‘arte. Tanti sono, infatti, i riferimenti e le citazioni sulla letteratura antica araba erotica, come anche i riferimenti alla vita moderna( vengono citate Desperate Housewifes e Sex and the City). Accanto alla cultura orientale antica esempi di cultura pop occidentale: ecco a voi servito un altro contrasto.  Buona lettura speziata, ed attenzione a tutti questi giochi di vedo non vedo e di contrasti!

 

Salwa Al-Neimi è nata a Damasco. Vive a Parigi dagli anni ’70. Lavora nel servizio stampa dell’Arab World Institute.Tra i lavori pubblicati, ricordiamo una raccolta di racconti, vari volumi di poesia, La prova del miele (2008) e Il libro dei segreti (2010).

Il visconte dimezzato di Italo Calvino. Il Buono e il Cattivo, facce dello stesso Io

in Cultura/Storie d'Inchiostro
“Mutilati di guerra” , olio su tela, 1920 di Otto Dix

Tanto sarà stato detto su questo capolavoro di Calvino, una favola per sognare datata 1951 ma ambientata al tempo delle Crociate, quando un inesperto e giovane visconte di nome Medardo di Terralba abbraccia, per compiacere altri nobili, la causa cristiana contro i Turchi. Ed è nel suo primo scontro con il nemico che ha inizio il dramma. Ferito di guerra torna a casa, torna a “metà”( letteralmente parlando), come quelle sagome di omini di carta che ci divertivamo a ritagliare da bambini. Come se avesse lasciato qualcosa per sempre dall’altra parte( il dramma vero di tanti uomini tornati dalle armi), Medardo torna despota, incattivito e senza scrupoli. Senza pietà si macchierà degli atti più riprovevoli, condannando i suoi contadini senza motivi validi, molestando la povera Pamela e gli Ugonotti, lasciando morire di crepacuore il padre, fino a quando non si scontrerà con la parte migliore di sé (il Buono) per tornare ad esser intero.
Favola raccontata con la magia e l’ironia tipica calviniana, “Il visconte dimezzato” è molto di più: è un’ ammissione di colpa sulla miseria dell’ essere umano, sempre difettoso, mancante di qualcosa, peccatore, ma allo stesso tempo capace di misericordia e atti amorevoli come “Il Buono”.  Con lo strano caso di Medardo di Terralba Calvino vuole dirci che solo accettando i nostri limiti possiamo vivere completamente, non giudicando gli altri ma comprendendoli nelle loro mancanze, le quali sono anche nostre. Emblematico è il ritorno di Medardo come uomo intero: ciò è possibile grazie ad un duello tra la sua parte cattiva e la sua parte buona. La nostra vera  natura emerge solo quando le nostre due parti vanno in conflitto.

In conclusione, se non avete paura di conoscere voi stessi e di mostrarvi come tali al mondo, seguite l’esempio del visconte dimezzato e sfidate in  un  corpo a corpo le vostre due metà.
Un testo la cui lettura consiglio a tutti, a chi è buono come Cappuccetto rosso, a chi è il lupo cattivo della storia e soprattutto a chi è in cerca di se stesso e non sa che non può trovarsi perché è tutto e niente, è la luce e l’ ombra, il peccatore e il giusto, e a metà e non lo sa. Buona lettura.

Italo Calvino (Cuba 1923 – Siena 1985) esordì con Il sentiero dei nidi di ragno (1947), romanzo seguito da grandi successi internazionali di narrativa e di saggistica, tra i quali Il visconte dimezzato (1952), Fiabe italiane (1956), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959), Marcovaldo (1963), Le Cosmicomiche (1965), Le città invisibili (1972), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), Palomar (1983) e le postume Lezioni americane.

Bianco come Dio di Nicolò Govoni. Da Cremona in India, sulla strada dell’amore

in Cultura/Storie d'Inchiostro

Bollette da pagare. Mutuo. Le rate dell’auto. Portare i bimbi a scuola. Timbrare il cartellino. Fare le festività in famiglia. Guadagnare per comprarsi l’ultimo modello di I-phone, l’ultimo modello della borsa griffata uscito. Andare in pensione. La vita, è tutta qui?

Il giovane cremonese, Nicolò Govoni , in Bianco come Dio, ci risponde che:  “No, la vita non è tutta qui!”. Senza dover esser Gandhi o Madre Teresa di Calcutta, possiamo dare un senso alla nostra vita, impiegare il tempo che ci è stato dato per aiutare il prossimo e vivere nella gioia del donare e nelle piccole cose. Appena ventenne, per sfuggire ad una delusione amorosa e ad una situazione familiare non idilliaca, Nicolò  si unisce alla missione umanitaria presso l’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home in India. Un’esperienza che gli ha cambiato la vita. Il duro lavoro fisico , l’alimentazione parca, la lotta contro la siccità per salvare le coltivazioni, le zanzare e il freddo dormitorio, tutto questo viene ampiamente ripagato nel cuore di questo giovane occidentale dal sorriso dei suoi bambini che per sua stessa ammissione, “lo hanno salvato”. In un’epoca in cui è l’apparire che conta questo ragazzo ci dimostra che la gioventù non è tutta bruciata (come si suole predicare oggi) e che l’essere sta nel fare concretamente qualcosa, nell’indossare la  fame, la  stanchezza, nel lasciare le comodità delle proprie quattro mura.

Non è tutto rose e fiori. Govoni ci parla anche di un’ombra che minacciosa oscura le buone intenzioni dei giovani occidentali,il “volonturismo”: il  volontariato che viene venduto a giovani rampolli per pulirsi la coscienza e pubblicare qualche foto social che li ritrae nelle loro azioni umanitarie. Un’occasione per le associazioni per dire che l’ uomo bianco c’è, aiuta anche solo per un mese, per fargli dire “ sono stato lì, ho fatto questo”, senza badare se dietro di lui lascia infrante le illusioni d’affetto di bambini già fragili.

Queste pagine , scritte sempre per il fine di raccogliere fondi per i progetti umanitari di Nicolò, spalancano la finestra che dà al nostro verde (magari anche finto) praticello. C’è un mondo meno fortunato del nostro lì fuori: ci sono bambini affamati, abbandonati, abusati, genitori che non sanno di cosa nutrirli. E’ nell’esserci, nel tempo che dedichiamo agli altri che si tesse la coperta dell’ amore. E’ nel dare  importanza all’altro, distruggendo le gabbie del nostro individualismo, che la nostra vita acquista il suo sapore. Ringrazierete Nicolò Govoni per avervi fatto respirare a pieni polmoni aria di un amore universale e di un’ unione totalizzante con il mondo. Lo ringrazierete  anche per il senso di gratitudine che vi instillerà per tutto quello che noi, bianchi come Dio, abbiamo la fortuna di avere. E chissà , queste pagine saranno la molla che vi farà venir voglia di partire per fare anche voi la vostra parte nel mondo. Ma, già guardarvi attorno ogni giorno ed aiutare, ad esempio,  la vecchietta a portare le buste della spesa, o comprare questo libro per finanziare le iniziative di questo straordinario ragazzo, significherà che qualcosa in voi è cambiato!  Buona lettura!

Nicolò Govoni  è nato il 17 marzo 1993  a Cremona. A vent’anni si è unito a una missione di volontariato in India, dove ha vissuto per quattro anni e studiato giornalismo. A venticinque ha fondato Still I Rise, un’organizzazione umanitaria che apre scuole per i bambini più vulnerabili tra Grecia, Turchia, Siria, Kenya, Repubblica Democratica del Congo e Colombia. Still I Rise è la prima no-profit al mondo a offrire gratuitamente il Baccalaureato Internazionale ai profughi. Nel 2020 Nicolò è stato nominato al Premio Nobel per la Pace. Attualmente vive e lavora a Nairobi. Ha pubblicato Bianco come Dio (2018), Se fosse tuo figlio (2019) e il libro fotografico Attraverso i nostri occhi (2020)

 

Lettere d’amore da Montmartre di Nicolas Barreau. Una carezza d’amore, uno schiaffo alla morte

in Cultura/Storie d'Inchiostro
Il bacio di Gustave Klimt- olio su tela 1907-1908

Se siete degli inguaribili romantici, non potete perdervi Lettere d’amore da Montmartre. Uno perché è ambientato nella Parigi, capitale dell’amore per antonomasia. Due perché ci sono tutti gli ingredienti per respirare un’aria da Sturm un Drang al 100%: c’è la morte, che colpisce crudele una giovane donna dai capelli rossi e dal vestito verde, amante delle poesie di Heine, c’è la nostalgia struggente che , come una tenaglia, stringe il cuore di chi resta, soprattutto del marito Julien, c’è una sorta di “spiritismo”, di ricerca del contatto con il sovrannaturale attraverso le trenta-tré lettere che Julien le scrive, come promesso in punto di morte; c’è il mistero per i “segni” presunti che la defunta Helene invia di risposta al suo amato. C’è tutto quello che un romantico può desiderare, in un crescente miscuglio di coincidenze, scherzi del destino, emozioni contrastanti che lasciano il protagonista, scrittore di libri comici ma che sta vivendo una personale tragedia, vivere in una vita parallela; quasi in un “limbo” dove il fiore d’amore per la sua bella lentamente si appassisce per lasciar sbocciare una nuova storia d’amore.

Tutto ha inizio lì dove la vita finisce: nel cimitero di Montmartre. E’ qui che Julien incontra Helene ed è qui che dovrà dirle per sempre addio. Sempre qui Julien farà un nuovo cruciale incontro, in una collana di eventi in cui amore e morte sembrano essere gli anelli di congiunzione perfetti.

D’impianto un po’ banale ( sembra essere la tipica storia d’amore da film di domenica pomeriggio , decorata dal mistero che aleggia sul “ladro delle lettere” ), questa storia è una rivincita della speranza nel futuro e dell’amore, lì dove tutto sembra perduto. Lì dove una statua di angelo di donna, dai capelli mossi dal vento, guarda indietro, segno della sua appartenenza al passato, c’è uno scrigno che custodisce il legame indissolubile con il mondo dei morti, e dove si intrufola, furtiva, la mano del futuro.

A Barreau si deve il merito di aver regalato un finale diverso alla triste storia di un Orfeo ed Euridice dei giorni nostri, e,  a noi lettori, in un’empatica atmosfera di tristezza e nostalgia,  di averci dato una carezza carica d’affetto lungo tutte le pagine di questo libro, in grado di rapirci magicamente dai nostri piccoli e banali drammi quotidiani.

Buona lettura, amanti delle letture in rosa!

 

Nicolas Barreau è uno scrittore francese nato a Parigi nel 1980 da madre tedesca e padre francese, come riportano le biografie ufficiali sebbene la sua identità non sia perfettamente chiara (secondo alcune teorie sarebbe un personaggio immaginario dietro cui si celerebbe un altro autore o di un team di scrittori), dopo gli studi in Lingue e letterature romanze alla Sorbona ha iniziato a lavorare nel settore librario ed editoriale, esordendo nella scrittura con Das Lächeln der Frauen (2010; trad. it. Gli ingredienti segreti dell’amore, 2011), bestseller mondiale che ha inaugurato un ciclo narrativo neoromantico al quale vanno ascritti anche i fortunati romanzi successivi, Du findest mich am Ende der Welt (2008; trad. it. Con te fino alla fine del mondo, 2012), Eines Abends in Paris (2012; Una sera a Parigi, 2013), Menu d’amour (2013; trad. it. La ricetta del vero amore, 2014), Paris ist immer eine gute Idee (2014; trad. it. Parigi è sempre una buona idea, 2015), Das Café der kleinen Wunder (2016; trad. it. 2017) e Die Liebesbriefe von Montmartre (2018; trad. it. 2019), che in uno stile lieve e godibile coniugano il tema dei sentimenti con il gusto per la cucina, sullo sfondo di una Parigi intensa e suggestiva.

I verbi ausiliari del cuore di Péter Estheràky. La parola, luce calda nel freddo lutto

in Cultura/Storie d'Inchiostro

In I verbi ausiliari del cuore lo scrittore ungherese Peter Estheràky maneggia un argomento delicato per tutti: la morte  della madre. E lo fa in un modo fuori dagli schemi, non convenzionale, forse, ma nel modo più prevedibile dal punto di vista umano: perdendo la ragione. Il racconto di questo evento atroce segue un delirio lucido. Sembra di esser di fronte ad un quadro surrealista di Dalì: Estheràky si crea una realtà che sfugge da quella dominata dal dolore presente e che prende in prestito da essa gli elementi più banali e quotidiani.

Perspective II: Le balcon de Manet, 1950 di R. Magritte

Quando perdiamo una persona cara ci aggrappiamo con tutti noi stessi a elementi comuni che ora acquistano un valore speciale: quello della vita integra prima dello strappo affettivo. Ed è allora che la scritta skoda sul carro funebre, il colore della cravatta, la colazione del mattino, sono tutti elementi degni di esser impressi su carta.  Leggere  questo racconto intimo e sofferto è come camminare su un marciapiede sconnesso: il dolore ha trasformato la retta via della ragione, come un terremoto fa con le strade. Il lutto ha limitato la facoltà di parlare dell’autore: le parole sono poche, ermetiche perché le crepe del dolore sono così profonde da sequestrarle nell’anima del figlio e non farle uscire tutte. Le parole che riescono a sfuggire dalla presa crudele della morte sono dense e cariche di significato; dietro di esse si nasconde una buca profonda, il lavorio profondo dell’inconscio. Seguendo la corrente inversa alla sua natura matematica e ordinata, Ezheràky segue l’onda caotica delle emozioni, dei ricordi, della fantasia regalandoci un libro sperimentale, originale, paradossale su un tema incisivo nella vita di ogni uomo, ossia la perdita della donna che gli ha dato la vita. Il tono non è sentimentale, strappalacrime e mieloso. La madre è descritta durante la sua malattia senza nascondere le bruttezze che essa comporta. Si potrebbe accusare di aridità e distacco il figlio. Mi piace pensare a un modo tutto umano di ricordare, di vivere e condividere il dolore, di esorcizzare le difficoltà. Se i verbi ausiliari del cuore non sono pagine dalla dolcezza del miele, forse sono l’arnia, con le api indefesse intente al lavoro del nostro inconscio. Ognuno di noi, a nostro rischio e pericolo, durante la lettura, potrà ricavarne il famoso nettare degli dei e  la dolcezza di un addio.

 

 

Péter Esterhàzy  (Budapest 1950) scrittore ungherese. Laureatosi in matematica (1974), dal 1978 si è dedicato esclusivamente alla letteratura, rivelandosi fin dalle prime opere un pioniere del postmodernismo. Nel 1996 ha ottenuto il premio Kossuth. Di antica famiglia aristocratica, laureato in matematica, è fra i protagonisti della letteratura magiara con romanzi e racconti di colta, giocosa sottigliezza linguistica: Romanzo di produzione (1979, nt); Una piccola pornografia ungherese (1984); I verbi ausiliari del cuore (1985); Il libro di Hrabal (1990); La costruzione del nulla (1991). Nel monumentale Harmonia caelestis (2000) si ispira alle vicende della sua famiglia, che affondano nel Cinquecento, e sconvolgendo i tempi narrativi impagina una narrazione originale, impregnata di una profonda ironia; ma nel’edizione corretta di «Harmonia caelestis» (2002) prende le distanze dalla figura paterna dopo la scoperta del suo passato di collaboratore della polizia comunista.

Gertrud di Herman Hesse. Come un passerotto al primo volo sulle note del destino

in Cultura/Storie d'Inchiostro
Il Violinista (Marc Chagall, 1912-1913). Olio su tela; 188 cm x 158 cm. Stedelijk Museum, Amsterdam.

Il giovane Kuhn, figlio unico incompreso di genitori benestanti, apre al lettore le porte del suo animo di esordiente compositore. In punta di piedi, nel suo raccontarsi, entriamo nel suo io e lo scopriamo un posto oscuro, tetro, isolato. In esso prendono vita, infatti, come spettri i tentativi d’iniziazione del giovane di far emergere la sua natura creativa devota alla musica. Kuhn non nasconde le sue paure, indecisioni e difficoltà nel donarsi all’arte; in questo momento di evoluzione  un incidente gli stravolge la vita, e lo trasforma per sempre in uno storpio. Il mondo intangibile dell’arte si scontra con la cruda realtà. Come un uccellino inesperto al suo primo volo che preso dall’ impeto cade e si spezza un’ala, così il giovane vede precipitare il suo futuro e spalancarsi per lui la gabbia dell’ isolamento sociale. La musica resta il suo solo rifugio, e grazie alle sue doti sarà avvicinato dal cantante Mouth. Tra i due nasce un’amicizia particolare, come tra il sole e la luna. Mouth, rappresenta, infatti, la faccia oscura dell’artista, irrequieto, autolesionista, crudele seduttore. Kuhn cerca invece il suo posto nel mondo e le sue verità sul destino degli uomini, sulla vita, su Dio. Il giovane  vive in modo drammatico, a causa della sua menomazione, il rapporto con le donne e si lascerà rubare sotto gli occhi da Mouth l’amata Gertrud, senza opporsi. L’amore tra uomo e donna appare come forza capace di lenire ogni male e di avvicinare l’artista alla creatività, ma anche di distruggere involontariamente i soggetti coinvolti, come quando presi dall’euforia del momento ci si lascia andare in un balletto e maldestramente si fa cadere il vaso di cristallo al quale tenevamo tanto ( magari ricordo della nonna).

Anche in questo romanzo breve, Hesse ha dato prova di voler fornire gli strumenti per elevare il lettore a un livello superiore, etereo, di crescita personale e spirituale. Amore, arte, il destino dell’umanità, Dio, la morte, sono i veri protagonisti di questo romanzo e si avvicendano rubandosi la scena in un turbinio di parole musicate poeticamente. Per chi è in cerca di trovare risposte sulla propria esistenza, Gertrud è una fonte feconda di risposte e riflessioni,che sono, da sole,quasi inafferrabili. Buona lettura!

Hermann Hesse nacque nel 1877 a Calw, nel Württemberg. Dopo studi in seminario, presto abbandonati, si dedicò alle più svariate attività. A rivelarlo al grosso pubblico fu, nel 1904, il romanzo Peter Camenzind. Viaggiò in India e si stabilì in Svizzera, dove scrisse negli anni ’20 le sue opere più importanti come Siddharta e Il lupo della steppa. Vinse il premio Nobel nel 1946 e morì a Montagnola (Svizzera) nel 1962.

 

Fame di Knut Hamsun. Vivere di pane & scrittura

in Cultura/Storie d'Inchiostro
“Il pittore per la strada di Tarascona” 1888 Vincent Van Gogh

 La storia di questo scrittore anonimo in cerca di fortuna, protagonista di Fame, vista in superficie, può sembrare priva di consistenza, povera e noiosa: tutto è incentrato sulla sua vita di stenti. E’ in realtà una gradita indagine nella vita di un artista preso a caso e delle difficoltà pratiche nelle quali s’imbatte un animo sensibile, come quello di un uomo che si vota all’arte: Baudelaire o Van Gogh o Beethoven possono esser immaginati senza difficoltà nei suoi panni. In modo schietto e nudo Hamsun ci mostra il lato più misero e triste del suo essere creativo, il lato scomodo di cui nessuno parla nei libri scolastici: il poter patire la fame, l’umiliazione, l’alienazione e il disagio sociale. Quasi come esser consacrati all’arte, significhi essere incompatibili con la vita, esser gli ultimi tra gli ultimi (e non i famosi uomini patrimonio culturale per i posteri),  ” gli aborti dell’umanità”, perché non produttivi, non utili per la società attiva. L’arte sembra esser anche incompatibile con l’amore: il protagonista frequenta una donna ma la relazione è inevitabilmente ostacolata dalle condizioni precarie di vita di lui. Come se la vita, che l’artista non riesce a vivere con dignità, si rifiuti anche di continuarsi attraverso lui, per mezzo dell’amore. Scrivere, quindi, come morire  di fame e nutrirsi solo del proprio momento artistico di creazione. Alimentarsi masticando il frutto tanto ricercato dell’ispirazione. Chiunque ami leggere deve immergersi in questo libro, perché rappresenta la vetta dalla quale possiamo ammirare l’intera valle. E’ il punto più alto per godere di un panorama a trecentosessanta gradi della vita di uno scrittore, delle sofferenze patite nel cercare un posto nel mondo semplicemente accettando di essere se stesso: un uomo alla continua ricerca della creazione di un’altra vita. Buona lettura!

Knut Hamsun, pseudonimo di Knut Pedersen, nasce nel 1859 in una famiglia di contadini. Cresce in una fattoria nel nord della Norvegia. Nel 1882 emigra negli Stati Uniti dove svolge svariati lavori. Torna definitivamente in Norvegia nel 1888. L’anno successivo la sua visione molto critica del sistema di vita che aveva sperimentato oltreoceano viene esposta nel saggio La vita culturale dell’America moderna. Nel 1890 pubblica il romanzo, in parte autobiografico, Fame, che diventa subito un importante successo letterario. Tra i numerosi libri successivi segnaliamo Pan (1894) e Germogli della terra (1917). Nel 1920 gli viene assegnato il premio Nobel. Durante la seconda guerra mondiale sostiene il governo filonazista di Vidkun Quisling. Per questo, dopo la fine del conflitto, viene processato per collaborazionismo e internato in un ospedale psichiatrico fino al 1948. Nel 1949 scrive un memoriale, Per i sentieri dove cresce l’erba, dando la sua versione dei fatti. Muore ultranovantenne nel 1952.

L’uomo che guardava passare i treni di Georges Simenon. L’uomo che oltrepassò la linea gialla

in Cultura/Storie d'Inchiostro
La stazione di Saint Lazare di Claude Monet -1877

Se siete degli amanti del gioco degli scacchi non potete perdervi la partita virtuale  tra il protagonista di questo libro, un quarantenne mite olandese di nome Kees Popinga e il commissario parigino Lucas. Ma procediamo per ordine: Popinga è un uomo abitudinario, padre di due bambini,benestante che scopre dal suo  titolare  la futura bancarotta fraudolenta dell’azienda. E’ il masso sulla ferrovia che fa deragliare il treno della sua vita : l’aver scoperto le attività illecite dell’azienda getta l’uomo  in piena crisi interiore e lo induce a smettere di comportarsi secondo le aspettative degli altri. Popinga si straccia di dosso l’abito di  buon padre , onesto lavoratore, uomo pacifico. La sua  natura istintiva,  fino ad ora assopita, viene fuori con irruenza spingendolo ad agire secondo i propri impulsi e a condurre una vita sregolata e da assassino . Il  crollo dei valori in cui ha sempre creduto lo investe con una tale violenza da farlo scendere sempre più in basso, da farlo sprofondare nelle sabbie mobili degli emarginati. Per lo psichiatra Kees Popinga non è che un paranoico, per la moglie  è affetto da amnesia, per i più un pazzo. La verità è che  il professionista Popinga non sa più chi è in una società contraddittoria che professa onestà e inganna se stessa. Popinga non è che un coraggioso, l’emblema dell’ uomo che rifiuta le convenzioni sociali e si macchia di reati  senza realmente volerlo, sotto la spinta dell’alta marea del riscatto morale . Resterete piacevolmente incollati a queste pagine e vivrete insieme al protagonista l’avventura da clandestino e latitante nella Parigi Underground  fino all’ epilogo: chi sarà la finalista? La giustizia umana o quella morale?

L’uomo che vedeva passare i treni è la storia di un uomo perbene, che vedeva passare la vita degli altri e che, una volta orfano dei suoi valori, si prende la rivincita sulla società che l’ha tradito  salendo sul treno che lo porterà alla scoperta del suo ” vero essere”. 

In ultima analisi, un  libro scheggiato dalle crepe della società moderna, dalla crisi interiore dell’individuo e dell’alienato criminale, figlio di un’umanità  incoerente con se stessa, in primo luogo.  Buona lettura a voi,  ribelli del sistema!

Georges Simenon  è nato a Liegi nel 1903. Figlio di un contabile e di una casalinga borghese. Dopo la morte del padre, nel 1922 si trasferì a Parigi dove iniziò a scrivere: è stato uno scrittore incredibilmente prolifico.Nel lustro 1925-1930 pubblicò oltre 170 romanzi!Nel 1929, sulla rivista Détective, appare per la prima volta il commissario Maigret.

Assieme alla prima moglie Régine Renchon, viaggiò molto. Nel 1939 nacque il primo figlio, Marc.Durante la guerra si occupò dell’assistenza ai rifugiati belgi. Alla fine della guerra lui e suo fratello furono accusati di collaborazionismo. Nel caso di Georges le accuse erano infondate, ma si trasferì ugualmente in America. Christian Simenon invece, condannato a morte, si unì alla Legione Straniera francese. Morì in combattimento. La madre accusò Georges, che aveva suggerito al fratello la soluzione della Legione Straniera, della morte di Christian, inasprendo i rapporti, che erano sempre stati complicati, tra madre e figlio.

Negli Stati Uniti Denyse Ouimet diventerà la seconda moglie di Simenon, e la madre di tre figli (John, che Marilda ha intervistato per noi, Marie-Jo, che morì suicida nel 1978 e Pierre).

Morì nel 1989, a 86 anni a causa di un tumore al cervello, che sembrava aver sconfitto qualche anno prima.

Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj. Il veleno della gelosia colpisce ancora

in Cultura/Storie d'Inchiostro

Chi di noi non ha provato nella propria vita il piacere di confidare le proprie pene o le proprie colpe a un estraneo  appena conosciuto? A qualcuno che senza pregiudizi (perché non ci conosce)

Tarquinio e Lucrezia- Tiziano Vecellio, olio su tela, 1571

possa ascoltarci senza filtri?  Questo è quanto accade al proprietario terriero Pozdnysev , che, durante un viaggio notturno in treno, racconta la grande macchia che ha sporcato per sempre la sua esistenza: l’ assassinio della moglie. Più che un dialogo tra due persone, è più corretto parlare di un monologo: con una lucidità delirante il reo confesso analizza la sua storia, il suo rapporto con le donne alla luce dei costumi e delle conoscenze mediche dell’epoca. E’il suo un viaggiare a ritroso; come  Pollicino, l’io narrante raccoglie all’indietro le briciole dei “perché” per spiegare a se stesso l’epilogo della sua storia. Questa scrupolosa analisi fa di lui un accusatore della società in cui vive, dell’istituzione del matrimonio, della sessualità mal vissuta sia dagli uomini quanto dalle donne. Pozdnysev  cerca complici morali, aggravanti e attenuanti, concause sociali, tutti  convergenti nel punto nevralgico dal quale poi è scaturito il grande dolore: la gelosia. Sua moglie, infatti, spinta dall’ amore per la musica, stringe un’amicizia particolare con l’ aitante violinista Truchacevskij. La nascita di questo triangolo e le reazioni sia consce sia inconsce dei protagonisti sono messe, anche queste, al microscopio: al lettore sembrerà di aver ricevuto lui stesso il velenoso morso della gelosia che spinge la mente del malcapitato in un ballo convulso di dubbi, negazioni, ammissioni, ricerca di prove. La tortura insonne psicologica di Pozdnysev, generata del presunto torto subito, lo condurrà a privare della vita la donna che ha amato. Di questi momenti concitati tutto è descritto nei minimi particolari. I pensieri, le azioni ora dell’omicida sono condivisi con l’esterno. La colpa è esposta al sole insieme al pentimento, come un lenzuolo bianco insieme alla macchia di sporco che non andrà mai più via. Questa macchia è ciò che resta,  e altro non  è  che  l’animo di un uomo distrutto dal rimorso e dal  ricordo del sé omicida. Pagine che sono i passi pesanti  di un bel viaggio nella notte della psiche umana. Un viaggio  illuminato dalla lucida razionalità del “dopo ciò che è stato”, e che ci concede per mezzo della penna introspettiva di Tolstoj di leggere nel cuore di tanti uomini dei giorni nostri, i cui atti omicidi riempiono purtroppo le pagine della cronaca nera. Buona lettura!

Lev Nikolàevič Tolstoj (Jasnaja Poljana 1828 – Astapovo, Rjazan’, 1910) è considerato, insieme con Fëdor M. Dostoevskij, il più grande scrittore dell’era moderna. Già orfano a nove anni di entrambi i genitori, trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Mosca, la tenuta di Jasnaja Poliana e Kazan’, dove compie gli studi orientali e poi quelli di giurisprudenza. Trasferitosi a Pietroburgo nel 1849, entra in contatto con gli ambienti musicali e letterari.Prende parte alla guerra russo-turca di Crimea come ufficiale sul fronte del Caucaso e da quella esperienza nascono I racconti di Sebastopoli. Dopo un soggiorno all’estero e il matrimonio con Sifija Andeevna Bers, l’interesse di Tolstoj si volge alle riforme sociali e pedagogiche, ma non trascura la produzione letteraria. Le cure per la famiglia che lo tengono sempre occupato (è padre di ben 13 figli) non gli evitano di sprofondare in ricorrenti crisi religiose e morali, spesso anche acute, dalle quali emerge a poco a poco con la convinzione della necessità di una netta separazione della religione dai poteri ecclesiastici (che gli costa una scomunica) e della superiorità del lavoro materiale su quello intellettuale. In seguito ai contrasti con la moglie e i figli, Tolstoj è costretto a lasciare l’amata Jasnaja Poliana, dove da tempo si era ritirato per dedicarsi all’attività pedagogica. Mentre è in viaggio per Rostov, si ammala e muore alla stazione di Astàpovo  nel 1910.La sua opera è una delle espressioni più alte del realismo ottocentesco. È autore, tra l’altro, di Guerra e paceAnna KareninaResurrezioneLa morte di Ivan Il’ic?La sonata a KreutzerI racconti di Sebastopoli, gli autobiografici Infanzia, Adolescenza e Giovinezza.

Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Il doppio versus l’Io

in Cultura/Storie d'Inchiostro

Avere il permesso di entrare in un sogno, assaporare il frutto dell’inconscio,  figlio del terreno sottostante a quello della coscienza, ecco cosa significa la lettura di Doppio Sogno.

Sogno causato dal volo di un ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio di Salvador Dalí- 1944

Schnitzler in queste pagine ci sequestra, ci benda e ci sussurra all’ orecchio l’avventura notturna del dottor Fridolin, di modo che anche noi sogniamo con lui, ci meravigliamo, restiamo impressionati dall’assurdità degli eventi che, quasi con forza magica  lo portano lontano da casa sua. Tessere la trama di ciò che si è sognato è quasi impossibile per il sognatore stesso, quindi lungi da me volerlo fare. Posso solo dire che si resta letteralmente incollati alla lettura per quanto sono dense di mistero, per quanto gli eventi particolari sono concitati e si susseguono senza un apparente nesso logico. Il sogno si confonde poi con la realtà. Il dottor Fridolin ha sognato o ha vissuto realmente la festa in maschera nella quale si è intrufolato? E il sogno raccontato da sua moglie Albertine, che l’ha così turbato, cosa significa? Sullo sfondo fantasioso e irrazionale sognato resta la coppia: marito e moglie sono amorevoli e teneri dopocena, quando decidono di raccontarsi gli innocenti tentativi di evasione coniugale mal riusciti della scorsa estate in Danimarca. Che sia questa l’origine di tutto? La voglia di trasgredire, di evadere, di cambiare partner, di infrangere il legame d’amore, non perché non sia tale, ma per perdersi e potersi ritrovare? Amore e odio si avvicendano, fanno girotondo attorno al capo dei due amanti, come accade in ogni coppia. Ecco il doppio: la doppiezza dei sentimenti, l’esser due in uno legati dal vincolo del matrimonio; la duplicità dell’io, che con indosso una maschera di carnevale può diventar l’altro. Tutto questo messo sottovuoto in queste pagine striminzite; tutto celato dietro poche parole, perché l’inconscio non è logorroico ma incisivo. Invia segnali sparsi, qua e là, apparentemente illogici, ma che sono custodi delle chiavi di un mondo nuovo. Un libro capace di strappare un sorriso nella semplicità dei pensieri del dottor Fridolin e nelle sue reazioni tutte umane. Lo stesso sorriso che potremmo ritrovare sul volto del  noto dottor Freud, intento a psicanalizzare questo doppio sogno. Buona lettura a voi, esploratori intrepidi dell’inconscio!

Arthur Schnitzler nasce a Vienna il 15 Maggio 1862. Il padre era professore universitario e direttore del Policlinico e avviò il figlio agli studi medici. Schnitzler si laurea in medicina nel 1885 e iniziò la pratica nell’Imperialregio Ospedale di Vienna. Contemporaneamente si dedica alla scrittura di poesie e novelle, ma solo dopo la morte del padre (1893) decide di abbandonare definitivamente la medicina.Le prime pubblicazioni sono i racconti Ricchezze (1891), Il figlio (1892) e il ciclo di atti unici Anatol (1893). Il successo arriva con la pubblicazione della novella Morire (1894) e la rappresentazione della commedia Amoretto avvenuta al Burgtheater il 9 ottobre 1895. Gli anni fino al 1918 sono molto produttivi e vedono la pubblicazione di novelle, opere teatrali e un romanzo Verso la libertà (1908).Molti episodi segnarono la sua vita e lo portarono sempre più ad una riflessione introspettiva: la malattia fisica (l’otoschlerosi), la prima guerra mondiale, gli attacchi della stampa antisemita in seguito alla rappresentazione di Girotondo, il divorzio dalla moglie nel 1921 e, infine, l’esperienza più terribile della sua vita, il suicidio della figlia nel 1928.Muore a Vienna il 21 ottobre 1931.

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