Dunque, a seconda delle nostre umane e soggettive sensazioni, le notti si classificano in due grandi categorie: notti brevi e notti lunghe. La notte del dottor Gerard Galvan appartiene appunto a questa seconda classe. Vent’anni prima, racconta ad un disinteressatissimo interlocutore senza volto, in una tipica domenica sera da medico di guardia, aveva come al solito accolto e curato ogni paziente, ogni male reale o fittizio che avesse bussato alle porte del pronto soccorso. Ognuno di quei malati rappresentava per lui una sorta di medaglia al valore, l’attestazione che egli certo non si sarebbe limitato ad una sola specialità, non si sarebbe lasciato incasellare in un’unica tipologia di guaritore. No, al contrario sarebbe diventato un tuttologo della medicina interna, un vero e proprio guru del pronto soccorso. E lo avrebbe scritto sul suo biglietto da visita: quel minuscolo pezzo di carta era ormai una vera ossessione, lo scopo di una vita ed ogni infermo che auscultava con il suo fonendoscopio era un piccolo passo verso quel vanaglorioso traguardo, il suo trionfo, ovvero il più brillante dei biglietti da visita.
E l’ultimo paziente che Galvan avrebbe visitato quella notte lo avrebbe indubbiamente aiutato a raggiungere il suo obiettivo. Sì, perché l’anonimo signore silenzioso seduto in sala d’attesa da ore semplicemente “non si sentiva bene”. In quattro vaghe parole aveva racchiuso l’essenza di un malessere multiforme che dall’apparente ineccepibile stato di salute iniziale presto ed in un baleno assume l’aspetto di un’interminabile serie di sintomi sconnessi come fosse un’ enciclopedia vivente di malattie istantanee. Galvan procede con una prima diagnosi, ma è subito costretto a coinvolgere specialisti di ogni campo per comprendere cosa stia rapidamente lacerando il Paziente dei Paziente. Ogni medico elabora con successo la propria opinione scientifica, però, ogni qualvolta si è sul punto di intervenire, la sintomatologia cambia drasticamente e nulla sembra poter placare il camaleontico malato.
Galvan concluderà il proprio turno di guardia assistendo il sonno disturbato dell’infermo. Tuttavia al mattino una spiacevole sorpresa l’attende: il paziente è scomparso né la ricerca dell’ospite senza nome dà alcun risultato positivo: non è nella sala delle TAC, non dalla neurologa e neanche in obitorio. Diagnosi: sparito nel nulla. In quel letto vuoto Galvan legge la fine della sua eccellente carriera…
A questo punto il lettore può aspettarsi di tutto: si domanderà se semplicemente Galvan non abbia sognato il tutto, o se non si sia trattato di uno scherzo organizzato dai colleghi per punire la sua implacabile ambizione, o se la sua compagna non gli abbia procurato un Caso che finalmente gli consentisse di scrivere qualcosa di sensazione sul tanto ambito biglietto da visita...
Il lettore può immaginare davvero di tutto (e tutto è lecito immaginare quando si legge Pennac), ma mai indovinerà il finale. E tra le risate e la sorpresa non potrà non ripensare a Molière, non potrà non desiderare di vedere su un palcoscenico questa divertente, strabiliante, indimenticabile, lunga notte del dottor Galvan.
Sara Calculli