E’ il papà di Lupo Alberto da così tanto tempo..si è mai stancato della sua creatura?
Ci si stanca come ci si stanca dei figli naturali, nel senso che sono spesso pesanti da sopportare, sono una responsabilità continua però ci danno anche tante soddisfazioni. C’è un rapporto più o meno simile. Lupo Alberto è la mia attività, la mia impresa e quindi cerco di averne cura esattamente come si ha cura dei figli naturali. Poi è chiaro che una volta realizzato un sogno come è accaduto a me si abbia voglia di realizzarne altri e quindi si può dire che a volte può essere noioso portare avanti la stessa attività per 40 anni, con le stesse scadenze con tutta la ripetitività che c’è in questo mestiere. Se si guarda però al fatto che mi ha permesso di inventarmi un mestiere, una vita a mia misura, quello che rimane è solo la soddisfazione e la fatica la si dimentica in fretta.
Come nascono i personaggi e la storia di una striscia comica? Quali sono gli ingredienti per realizzarla oltre, immagino, all’ironia?
Ho sempre immaginato questo mondo, la fattoria di Lupo Alberto, come un calarsi, un po’ come il palombaro quando scende giù che ha bisogno di essere molto concentrato, di trovarsi in una situazione ideale. Puoi anche immaginarti una persona di 40-50 che ha famiglia, responsabilità, che vive nel mondo di tutti i giorni che a un certo punto deve calarsi in un mondo di animali parlanti che fanno battute, di paperi stupidi, di talpe rompiscatole ecc..questo diventa a volte un esercizio abbastanza complicato. Quindi se l’atmosfera circostante è favorevole è meglio. Per fare gli umoristi poi è certo che un po’ di talento naturale ci vuole. Da ragazzo ho sempre amato far ridere gli altri, con battute, con la mimica. Poi automaticamente si attivano meccanismi, atteggiamenti, una predisposizione mentale a far ridere il prossimo. C’è una sorta di deformazione professionale che ci induce a raccogliere materiale, elementi sui cui costruire l’ironia. Tutto quello che succede si trasforma in qualcosa di comico, leggiamo quello che accade in una prospettiva deformata dall’ironia”.
C’è ancora qualcuno che considera il fumetto un sotto prodotto culturale?
C’è ancora sicuramente qualcuno che per esempio di un film o di un romanzo di grana un po’ grossa dica che sia un fumettone, una storia a fumetti. E’ gente forse che un fumetto non lo ha mai letto e che si riferisce al luogo comune che sia letteratura di basso profilo, un sottogenere. Basterebbe leggere due o tre di graphic novel che si trovano in fumetteria per capire che si tratta di qualcosa di molto diverso. Anche il cinema ha attinto negli ultimi anni al fumetto. Fumetto che è un mezzo povero di cui tutti si possono servire per raccontare storie con effetti speciali strabilianti, basta saper usare Photoshop…
Quale è lo stato di salute del fumetto comico oggi in Italia?
Quello comico è considerato minore rispetto a quello più avventuroso o epico. Ho una teoria in merito ma potrebbe sembrare superbia: penso che sia molto più facile raccontare una storia epica simile a tante altre che vediamo al cinema piuttosto che far ridere. Sono convinto che ci voglia una dose maggiore di intelligenza per fare ironia. Fare umorismo richiede un’analisi molto profonda dei meccanismi di quello che accade intorno. Ironia è disvelare, sollevare la gonna, togliere la maschera e per farlo ci vuole grande lavoro di analisi. Scrivere una storia epica fatta di cazzotti, di sparatorie o fantasy con supereroi muscolosi ed eroine poppute è più semplice. Queste scuole di fumetto proliferate in questi anni e studenti che scelgono alcuni generi perché forse sembra loro più semplice, bhè, credo sia una scorciatoia.
La striscia comica è soggetta alle mode, ai tempi? Una striscia scritta 10 anni fa può fare ancora ridere?
Faccio strisce da quasi 40 anni e mi sono sempre preoccupato di questo, cioè di non legare troppo i contenuti all’attualità stretta perché volevo che la loro vitalità durasse il più a lungo possibile. Certo ci sono ingenuità che non rifarei ma tutto sommato credo di esserci riuscito. Si può fare satira di costume anche senza fare nomi e cognomi, citare fatti.
C’è un suggerimento, un consiglio che darebbe a fumettisti in erba?
Oggi più che mai c’è l’assoluta necessità di inventarsi un lavoro. C’è una scuola, un’università che prepara studenti ad un meccanismo di realtà che sta scomparendo sotto i colpi di questa crisi. Oggi c’è molta più offerta che domanda in questo campo, ci sono più scuole di fumetto di quanti fumettisti possano essere impiegati nelle case editrici già pochissime in Italia. Credo si debba inventare tutto da capo, le nostre intelligenze devono adattarsi e adeguarsi alle necessità. Lo devono fare soprattutto i ragazzi.