Domenica, 24 Settembre 2023

BIODEGRADABILI - Gli antichi Romani, la spesa, dove la mettevano?

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Impazza la questione dei biodegradabili per la frutta; d'altro canto è già da qualche anno che, in effetti, paghiamo i sacchetti della spesa. Ma Santippe, Cornelia, le donne romane o magnogreche che passeggiavano per i mercati della Policoro antica, le mele, dove le mettevano? Ne abbiamo parlato con Anna ed Annarita, giovani archeologhe policoresi della Soc. Coop. "HERA" a.r.l..

Ragazze, insomma, questa spesa come si portava a casa nell’antichità?

Dalle fonti iconografiche possiamo desumere che le donne dell’antica Roma girassero per i mercati con ceste, generalmente di paglia, e anfore o contenitori simili in caso di acquisto di liquidi. Insomma è plausibile supporre che l’uso di andare a far la spesa avendo cura di portare con sé la “sportina” non sia stata di certo una nostra invenzione!

 

Accumuli di cibo comportano accumuli di rifiuti. Le lische delle alici diventavano garum, la cenere dei fornelli diventava detersivo. A casa Cicerone in quale altro modo si faceva la differenziata?

In un certo senso la forma mentis degli antichi preveniva il riciclo stesso. La parola chiave era: conservare! Conservare soprattutto il cibo per avere scorte sempre disponibili durante tutto l’anno. Essiccazione, affumicatura e molte altre tecniche ben documentate ne sono la prova. Però, parlando di riciclo in senso stretto e uscendo dai confini della domus, c’era una pratica a dir poco singolare: il riuso delle urine. È chiaro che soltanto l’idea risulta raccapricciante, eppure secondo quanto riferitoci da Columella le urine erano preziose per alcune terapie veterinarie e per migliorare la coltivazione del melograno. Pare che fossero quasi miracolose anche per sbiancare le toghe nei cicli di lavaggio. Insomma, davvero possiamo dire che i Romani non sprecavano proprio nulla!!

 

Bologna – notizia degli scorsi giorni – accoglie i rifiuti della Capitale. Nell’antica Roma, invece, i rifiuti sono mai stati un problema?

Purtroppo si! Non abbiamo notizie dettagliate su dove fossero riversati e smaltiti i rifiuti, ma la lex Iulia Municipalis del 45 a.C. fa riferimento all’utilizzo di "carri per l’immondizia". Una buona parte di rifiuti era eliminata attraverso le fogne, di cui tutte le grandi città erano munite. Tuttavia, pare che di notte, dalle finestre, si gettasse qualsiasi cosa, al punto che Giovenale in una delle sue composizioni raccomanda di fare testamento prima di uscire di casa con il buio poiché al malcapitato di turno poteva piovere addosso di tutto!...

 

Curiosità: spesa, mercato, cibo. Cosa preparava la donna romana nel giorno della dea Diana (quella che poi è diventata la nostra Epifania)?

Per i nostri cari Romani il periodo che va sostanzialmente dalla metà di dicembre a gennaio era periodo di festa. Il 20 dicembre, ad esempio, si celebrava la festa dei sigillaria, in cui parenti e amici si scambiavano doni di buon augurio. In questa occasione ai bambini si regalavano delle bamboline a tre seni, probabile riferimento alla Diana efesina o alla dea latina Strenna, realizzate con un impasto molto dolce simile al nostro marzapane. È possibile pensare quindi che già in età antica questo fosse il periodo in cui ci si concedesse qualcosa in più del solito anche dal punto di vista alimentare.

La nostra Epifania, come molte altre festività, affonda le sue origini nel mondo pagano. Era la festa che celebrava la vegetazione che spuntava con il nuovo anno, una sorta di rinascita della Natura a cui era legata la dea Diana. Proprio lei, secondo la tradizione, volava di notte nella prima settimana di gennaio con il suo corteo di ninfe sui campi per scongiurare il pericolo di grandine che avrebbe compromesso i raccolti.

 

Le nostre nonne insegnano a non buttare via niente e dal pane raffermo, ad esempio, ricavavano le polpette. I Romani, invece, come se la cavavano in fatto di "riciclo" del cibo?

Apicio ci fornisce la ricetta di un dolce ottenuto con il pane raffermo che consiste nel bagnare il pane raffermo nel latte, friggerlo e cospargerlo con il miele. Sempre a proposito di riuso mi viene in mente che è documentato l'uso delle fecce di vino nella cosmesi, per tingere le labbra a mo’ di rossetto.

 alba gallo

 

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