Anni di salutismo, a volte anche martellante e deprimente, ci hanno insegnato che l’alimentazione tipica americana, quella ad hamburger e patatine, per intendersi, era da considerarsi tutto meno che sana e praticabile nel corso di tutta la vita. In alternativa, e con grande nostra soddisfazione, a livello planetario si è detto, in tanti consessi, più o meno ufficiali, che era un’altra l’alimentazione da suggerire a tutti, piccoli e grandi, sedentari e sportivi: era la cucina mediterranea, quella del pane, della pasta, del pomodoro fresco, dei legumi e delle verdure. Gli americani, che hanno la vocazione all’imperialismo (politico, economico, culturale, etc.) hanno accettato questo loro limite e, pur esportando da Mosca a Pechino il loro fast food classico, non hanno rinunciato a sperimentare, a provare nuove strade che facessero della contaminazione gastronomica la loro stella polare.
Questa apertura ha portato i suoi frutti, e questi frutti hanno un nome: EATSA. Scott Drummond e Tim Young hanno capito che si può e si deve fare ancora fast food, ma in maniera sana ed ecosostenibile.
Hanno così avviato una catena di punti-vendita supertecnologici nei quali, ordinando su un IPAD messo a disposizione su una serie di succulenti piatti monopezzo (costano più o meno l’equivalente di cinque euro l’uno), si può avere in pochi minuti una bella ciotolona di cereali, verdure, legumi, pane tostato che sazia, dà piacere al palato e non deprime portafoglio, mente e corpo.
L’elemento-chiave di questi piatti è un seme dalle proprietà portentose:
si chiama quinoa ed è un cibo altamente proteico privo di glutine, zuccheri e sostanze allergizzanti. Un vero toccasana che ha un’ultima, ma non meno importante qualità: si produce con un trentesimo dell’acqua e dell’energia che richiede la stessa quantità di proteine animali.
Questa volta, americanata fa rima con genialata: non c’è che dire.