Ti fermerai al primo bar, chiederai il tuo espresso. Ti spingerai poco oltre e, per caso, alla tua destra ti imbatterai in una vetrina, in una vetrina con cornice, in basso. In basso, in un negozio di quadri che celebra, grida, pubblicizza, inneggia alla terra di Lucania, quella del pittore bernaldese Lucanino. Quadro, della vetrina, del negozio che celebra la Lucania, per caso, a Bologna. Poco distante dalla vetrina, un portone e dinanzi a te proprio lui: il Lucanino. Perchè quando un sabato qualunque sei al numero 145 di via San Felice, quello che proprio non ti aspetti è un richiamo alle origini della tua terra. Perchè, quando sei al numero 145 di San Felice, in un uggioso sabato qualunque, tutto puoi aspettarti fuorché di trovare il tuo pezzo di Basilicata, a Bologna. Di trovarti il “tuo” Castello di Bernalda in un quadro e proprio il Lucanino a parlarti di Lucania, a Bologna.
Mi presento: lucana anch’io come lui; lucana anch’io, del suo stesso comune. In terra di Bologna per caso. E per caso ho trovato lui, in una uggiosa giornata, nel mezzo di Bologna, nel centro di Bologna.
“Avevo quattro anni e mia sorella, porgendomi la matita, mi disse: “Scommetto che non sai fare di meglio”. Così, per gioco o forse per sfida, cominciai a disegnare e da allora, beh... da allora non ho mai smesso”. Così Antonio Zambrella, detto “il Lucanino”, racconta i suoi esordi. Mi mostra i cataloghi e un libricino, a mo’ di piccola rassegna stampa personale con i successi, i suoi, che i media lucani hanno documentato nel tempo. Nasce scultore, Antonio. scultore di creta, le cui mani sanno d’argilla. E l’argilla cos’è se non terra, terra bagnata, bagnata terra di Bernalda, in cui Antonio non ha mai smesso di sporcarsi le mani. Terra di Bernalda e impastata con acqua del Basento e mani, le mani di Antonio, chiamate a tracciare sentieri, a generare volti, di donna ad esempio: quella che ama e che gli sta accanto da 52 anni; quella che, sfidandolo, lo induce a dipingere, la sorella; quella che, a Bologna, “manca e sa mancare”: la Lucania.
“E’ dal ‘51 che sono qui e la mia terra non l’ho mai dimenticata”. Ed è vero: continua a dipingerla, Antonio Zambrella, la sua terra. Nelle colline, nei castelli, nelle metafore pittoriche di un castello che sa di meta, obiettivi, rimandano - inesorabilmente - a Bernalda. E poi i cieli, la frutta, la natura, che sia viva o morta, è lucana. come lucano è l’accento: quello, Antonio, non l’ha mai perso e da 83 anni se lo porta dietro come IGP.
Uscendo, in alto, una tela, in una teca (le vie della Bologna Rossa ospitano spesso e volentieri edicole votive). E’ la Vergine del Lucanino, “ma è senza firma” - mi dice, con una malcelata punta di orgoglio - “dovessi mettere la mia firma, me la porterebbero via”.
Mi congedo, mi chiede di passare a trovarlo. E, con la benedizione della Vergine, è una promessa che non si può non onorare.