Il suo segreto? L’arancia staccia. Il suo desiderio? Una giornata lunga 72h, nè più nè meno: esattamente quanto la lievitazione dei suoi panettoni.
Ma... Come nasce un mito? “GazzaGolosa” – evento culinario allestito sulle pagine rosa della Gazzetta dello Sport (sì, vabe’: avete ragione se vi state chiedendo cosa c’entri la MotoGp con i pasticceri...) indìce un concorso per premiare il miglior panettone d’Italia. Gareggiano tutti. E gareggia anche lui, Vincenzo, panettiere acheruntino, cresciuto a pane, crusco e lievito madre. Partecipa anche lui, che vive in un posto che dista da Milano qualcosa come 700 chilometri, 10.000 leghe, 100.000 rosette e una focaccia, casomai dovesse venirvi fame per strada. Partecipa, con lui, anche la Lucania che sta al panettone quanto la cotoletta sta a Matera.
Ma lui ci prova lo stesso. E manda il panettone in autobus, tra una valigia ed una damigiana, tra conserve e affettati, quelli che ogni giorno occupano i 2/3 degli autobus da Meridione a Settentrione.
E vince. Il suo panettone vince.
Da due anni i Milanesi (!) assaporano quanto soffice sia il suo panettone, misurabile con l’unità di misura dei materassi. E non c’è storia. Da due anni non c’è storia. Milano impara, Milano-mangia-Tiri.
72 ore di lievitazione e 3 impasti, ed una collezione autunno/inverno che sa farsi anche primavera/estate: i suoi panettoni non conoscono stagioni perché li si può assaporare anche in agosto, tra un cono e un caffè freddo.
E non li conta. Volutamente. Non li conta per spiegare il vero concetto di artigianalità, di quel profumo sano e genuino di prodotto fatto in casa, ormai affidato alle sole nonne. Ma almeno 70 sono le persone che ogni giorno, da due anni a questa parte, sono in fila ad Acerenza per ritirare i suoi prodotti appena sfornati. Roba che solo negli Apple Store e da Zara ad inizio saldi.
Quest’anno Vincenzo ci riprova, tentando l’ennesima prodezza: impasto all’olio d’oliva lucano.
Ennesimo “cucchiaio” alla pasticceria italiana, non inteso come “dolce al”.