“Una pizza in compagnia”, ovvero il frutto più o meno proibito di due italiani innamorati di Lisbona (e della margherita): Michele ed Andreas. Uno è biologo, l’altro ha studiato grafica. Uno è di Andria, l’altro capitolino. Somma - altrimenti detta - di imprenditorialità pugliese e romano pragmatismo.
I maestrini dal pomodoro rosso (in trasferta) così l’hanno vista: tu metti la casa e inviti chi vuoi, loro cucinano per te. Va be’: il grano non sarà quello del Tavoliere e i pomodori all’estero saranno pure fuxia. C’è di buono che il prodotto finito è valido e che il metter le mani in pasta, se non te le sporchi, rimane solo un’espressione idiomatica, con cui non paghi le bollette. Perché, esauriti tutti i piagnistei e le messe di requiem per legittimare il tuo “mammonismo”, arriva il giorno in cui devi rimboccare le maniche.
Questa è l’Italia che vogliamo raccontare. Questa è la storia, in versione moderna, del lavoro 2.0, che fa sposare la fantasia con la farina, con l’ottimismo della volontà… di impastare. È spacciare legalmente la gioia della condivisione. Perché, ora, ragioniamoci: partita con gli amici, calcio a 5 o maxischermo al pub, fa sempre “quattro stagioni” quanto è vero che amiche in libera uscita (shopping incluso) vuol dire “vegetariana” (spalmando i sensi colpa sulla melanzana grigliata).
Il punto è che c’è sempre una buona ragione per mangiare pizza, a Pescasseroli quanto a Reykjavík. E la felicità è – a volte – è anche la margherita “in riva al mare con…”. E Michele ed Andreas lo hanno capito.
Ma - a scanso d’equivoci - no, se andate a Lisbona, non chiamateli. Che poi, magari, scoprite che i piatti portoghesi - per esempio - vi piacciono (non quanto la parmigiana di mamma, si capisce) e che, una volta a San Chirico Raparo, nessuno ve li rifarà. Per dire.
Alba Gallo