La petizione per salvare la lingua italiana, invece, lanciata da Annamaria Testa, è stata corredata, sin dai primi vagiti, di opportuno hashtag (#dilloinitaliano), dispensato ormai sui social come solo le plastiche portaombrelli da Zara, nei giorni di pioggia.
E comunque c’è poco da dire: arrivare alla petizione vuol dire aver maturato la consapevolezza che l’italiano si sta estinguendo più velocemente del corno del rinoceronte. Facendo le dovute proporzioni, se più o meno sono stati cinquanta gli anni impiegati per consentire a Mike Bongiorno per alfabetizzarci, cinque sono quelli bastati alla De Filippi per farci dimenticare anche il solo uso del congiuntivo.
Nel frattempo, mentre si disimparava la differenza tra verbo e congiunzione, aumentava il largo consumo non solo per uso personale della lingua inglese. Inglese che sta all’italiano più o meno quanto i mattoni spacciati per stereo a Napoli.
In soldoni - prima - per darti dell’idiota ti chiamavano “diversamente scaltro”, ora ti dicono che sei carente di skill, una roba asettica quanto scientifica, che sa quasi di referto medico e che accogli con la rassegnazione tipica del post prove allergiche, quando scopri che ti manca la vitamina k o l’acido folico.
Così ormai parliamo con disinvoltura di “jobs act”, di “mission” o di “market share” anche con la vicina ottantenne e continuiamo a sciorinare impunemente “piuttosto che”, inopportuno quanto la pubblicità dell’Imodium ad ora di pranzo.
Alba Gallo