Lunedì, 04 Dicembre 2023

…E ne “Le ore”, tutta la sua vita

È il 28 marzo 1941, un giorno che ha rivissuto in me altre venti vite, e solo quindici per intero. Su 15 ne ho piante 14; su 20 ne ho piante 19. Poi l’hard disk si è fulminato definitivamente chiudendo il rubinetto una volta per tutte. Chiudere gli occhi dopo i primi tre minuti di film è un po’ come posticipare in eterno il trillo della sveglia mattutina: aspetti sotto il piumone che bussi alle palpebre il momento giusto per l’ultimo bacio con Morfeo e gettarti tra le braccia di una nuova giornata; attendi invano, perché quel momento è sempre troppo lontano dall’essere l’attimo perfetto e alla fine a buttarti fuori dalle lenzuola è solo uno squallido ed impellente senso del dovere. E così per cinque volte ho sigillato le pupille su quella prima scena, finché l’urgenza mi ha stretta senza scampo nella sua morsa prepotente. Fatti coraggio, apri gli occhi.

Lei, sassi nelle tasche, s’immerge nelle acque affamate della sua fragilità.

Lei, una lettera d’addio, affronta il suo personale Leté.

Lei, le onde sulla pelle, accoglie con amore la quiete suprema.

«Nella morte c’è un abbraccio». A distanza di ventidue anni da quando dipinse quest’immagine nella mente di Clarissa Dalloway, Lei - Virginia Woolf  - li trovò entrambi nel fiume Ouse.

Con le nozze tra Eros e Thanatos si apre “Le Ore”, pellicola di Stephen Daldry (2002) ispirata all’omonimo romanzo di Michael Cunningham, vincitore nel ‘99 del Premio Pulitzer. La sacerdotessa è Nicole Kidman, che dopo aver sublimato il suicidio della scrittrice ce ne restituisce un ritratto del 1929 mentre naviga nella scrittura di “Mrs. Dalloway”. Interminabili le ore trascorse in quella stanza dove diede alla luce Clarissa; la campagna di Richmond sullo sfondo, il trambusto di Londra tra le tempie scosse, sulle pagine ristoratrici e nella voce che implora Leonard alla stazione. Tornare a Londra per provare a scalfire quell’inquietudine che neppure l’arte ha sconfitto davvero, ma che tanto per la sua Arte ha fatto.

“Mrs. Dalloway” è ora sul tavolo della cucina di Laura Brown (Julianne Moore), è il 1950 e la giovane sposa cerca di nutrirsi dello spirito e della forza di Clarissa. Oggi compie gli anni suo marito Dan e lei, come la sua eroina di carta, deve organizzare la festa. Ma non è capace, Laura, non riesce neanche a fare una torta e a stento la dolcezza dal piccolo Richie può cancellare lo sconforto per un simile fallimento. Nulla potrebbe placare la sua ansia, niente potrebbe spegnere la sua frustrazione, nessuno potrebbe sanare i suoi dubbi. Ha pensato persino di suicidarsi, Laura, sola con il suo romanzo in una stanza d’albergo lì a Los Angeles. Ma c’è qualcosa in lei che davvero non merita di morire così: il bambino che porta in grembo e, ancor più, il suo desiderio di vivere e darsi un’altra chance. Alla fine Laura abbandonerà la sua famiglia e fuggirà in Canada, forse non per andare incontro alla felicità, ma semplicemente per sfuggire a quella sterile Vita-in-Morte.

E poi c’è Clarissa Vaughan (Meryl Streep), editor nella New York del ventiduesimo secolo, anche lei alla prese con un party. La sorpresa è per il suo amico ed ex amante Richard che ha appena ottenuto un riconoscimento importante per il suo ultimo romanzo. Il poeta laureato, mangiato vivo dall’AIDS, la chiama Signora Dalloway quando lo sveglia con un bel mazzo di fiori. E proprio come la sua omonima londinese Clarissa dovrà assistere al suicidio di Richard, volato attraverso la finestra spalancata; il suo saluto ricalca quello che Virginia Woolf scrisse al marito prima di lasciarsi ingoiare dal fiume; proprio come la signora inglese, Clarissa Vaughan dovrà comunque allietare i suoi ospiti. E tra questi c’è anche Laura Brown, la Julienne Moore ormai curva e imbianchita madre di Richard.

“Le Ore” intreccia le vite di tre donne diverse, lontane negli anni e nelle stanze, eppure tanto simili e vicine. Di ognuna ci è concesso di vedere un solo giorno, quanto è bastato a Clarissa Dalloway per esaurire la sua esperienza all’interno di quel capolavoro che porta il suo nome. Tre tempi che si riversano l’uno nell’altro come per osmosi, tre drammi in una sola cornice, tre modi di guardare e affrontare (la vita e) la morte, tre infelicità, tre falsi sorrisi e tre bugie che s’intersecano nella figura della Signora delle feste.

“Le Ore” srotola i suoi fotogrammi con angoscia, ma in fin dei conti trasmette anche uno smodato senso di libertà. E forse è complicato seguirne l’intreccio, non lasciarsi annoiare dalla monotonia e dalla lentezza di alcune scene. È complicato ed è giusto che lo sia, perché tale è stata l’esistenza, l’opera e l’anima stessa di Virginia. Ci vuole coraggio ad entrarti dentro, Ginnie, tuttavia oggi è una data importante e devo in qualche modo ricordarti e festeggiarti, anche se non so far le torte...buon compleanno, Leprotto Marzolino.

SARA CALCULLI

Read 1330 times Last modified on Giovedì, 07 Luglio 2016 11:35
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