La lingua dell'insulto per eccellenza è il dialetto: arriva prima di un buon pugno nello stomaco e vale come avvertimento. Il dialetto è per l'offesa, un po' quel che l'inglese è per il commercio: immediato, pragmatico, privo di orpelli, non conosce perifrasi ed è ricco di similitudini. Si veda “sì com na femmna prena”, velato preambolo alla “mandata” a quel paese. L'espressione dialettale è la color -ita e “-ata” traduzione in immagini dell'anziana con la sedia di paglia che tiene il posto macchina al figlio; è la lingua dei sentimenti semplici, di quando la donna si faceva la ceretta e l'uomo corteggiava e non avveniva mai il contrario; di quando, al primo appuntamento, si era in tre, con il fratello a fare da piantone (vedi Io, mammeta e tu) e la suocera ti giudicava da come stendevi il lenzuolo e dalle ore di cottura del sugo.
C'è chi se ne vergogna e chi te ne canta quattro, in dialetto. Ad esempio, mettete un giorno, da un gommista, a Bernalda. Mettete pure che avete forato. Troverete schiere di baldi giovani sulla ottantina a fornire consulenze tecniche e mirate sul tipo di foratura. E quando avanzerete ipotesi sulle cause che l'hanno determinata, preparatevi ad udire anche espressioni del tipo: “cudd non er nu chiuov, er nu c'ntron”, dove il “centrone” designerà un chiodo di dimensioni mastodontiche. Esperienza che vi insegnerà che tra un chiodo ed un centrone passa un'intera tavola di nomenclatura e che, a scanso d'equivoci, sarà sempre bene evitare gli sterrati.
Alba Gallo