Ecco perché il 17 settembre alle 15 ero in fibrillazione, in attesa del primo video della sua carriera: se la vita è un ballo acrobatico… io ballo sulle note di “È tempo d’altri tempi”, l’ultimo singolo di Matthew Lee già (o forse ancora?) in vetta alla classifica della “Absolute Beginner Radio Airplay Chart”. E se nella sua canzone gli “altri tempi” son quelli della Vespa e della Seicento, di Fellini o del cinema muto, di quella Roma in bianco e nero di Marcello e Anita, nella mia testa Matthew – già l’8 agosto – era riuscito con la sua musica e la sua passione a condurmi molto più lontano. E in maniera anche abbastanza bizzarra devo ammettere, tanto che speravo di ritrovare almeno parte della mia rappresentazione mentale nel tanto atteso video clip.
Nella mia fantasia, infatti, a pochi minuti dall’inizio del concerto vedevo sbucare da sotto il palco del Blues in Town un coniglio bianco con tanto di panciotto, guanti bianchi e frac. Memore delle mirabolanti avventure di Alice nel paese delle Meraviglie lo inseguivo attratta dal mistero che una creatura così stramba sembrava custodire per me sola. Ma il mio Bianconiglio, a differenza di quello carolliano, non consultava l’orologio né aveva fretta di tornare alla sua tana: stringeva un piffero tra le zampette e lo padroneggiava con abilità magistrale. Un coniglio che suona uno strumento a fiato? Certo la mia immaginazione poteva partorire di meglio. E in effetti quella che si sprigionava dal piccolo flauto non era una melodia qualunque; si trattava di un brano di musica classica, il “Volo del calabrone”, e, come se non bastasse, le note che l’inconsueto musicista soffiava nel piffero risuonavano nei miei timpani come battute sui tasti d’un pianoforte.
“Oh, che assurdità!” ho allora rimproverato al mio inconscio, il quale, non ancora soddisfatto del suo delirio, ha condito il mio sogno ad occhi aperti con ulteriore nonsense e humour. Perché, obiettivamente, cosa ci fanno sul palco del Blues in Town 2014 le colonne del Partenone, un busto di Apollo e una corona d’alloro? Il Bianconiglio-Pifferaio magico è però ben lieto di questo viaggio nel tempo, sembra non farci caso quasi, e finalmente raggiunge il pianoforte, si accomoda sul pouf e…puff! Dalla nebbia dei fumogeni ecco emergere un pianista dalle fattezze umane; ecco che il concerto di Matthew Lee squarcia il velo della mia fantasticheria con un rock’n’roll “d’altri tempi”. Ora i miei sensi sono tutti per le dita agili e rapidissime del talentuoso biondino, per le sue acrobazie e per il suo ritmo che ormai detta legge su gambe, piedi, mani, testa, brividi sulla pelle.
Quasi tre ore di Matthew Lee & The Big Band e devo dire che il mondo mi pare un po’ migliore. Forse è per questo che il mio inconscio è ripartito all’attacco: l’immersione nel Paese delle Meraviglie non è ancora finita a giudicare dall’improvvisa apparizione dello Stregatto sotto lo sgabello di Matt; la coda striata e fluente del gattone scosta appena il frac del pianista – che nel frattempo si rimpicciolisce a vista d’occhio fino a diventare un nano – rivelandomi la presenza di un qualcosa che si muove là sotto. La curiosità s’impossessa di me ancora una volta e lo Stregatto, che per mia fortuna ama i matti, i cappellai e i curiosi, accontenta senza troppe cerimonie il mio desiderio di saperne di più: strappa via la coda artificiale del mio nuovo idolo e, sorpresa, quello su cui è seduto Matt non è uno sgabello, bensì le spalle di un gigantesco Gioacchino Rossini!
Ho sottovalutato la mia psiche che, anche se in maniera un po’ contorta, voleva solo ricordarmi che il rock’n’roll di Matthew Lee è “andato in classe” con la musica classica di Rossini al Conservatorio di Pesaro prima di ripercorrere tutta quella gran bella storia che il rock ha scritto e che mai mi stancherei di ascoltare, perché, come canta Matt, “L’eco di giorni ormai lontani/ sarà la voce di un domani/ d’altri tempi”…
Sara Calculli
[Foto: immagine di copertina della pagina Facebook di Matthew Lee]