Domenica, 24 Settembre 2023

5/5. Una settima da lucani: Brindisi di Montagna, tappa conclusiva

23 agosto, la quiete dopo la tempesta

Sono le 14.00 e i morsi della fame cominciano a farsi sentire. Intanto piove da più di mezz’ora. Piove di traverso, da destra, da sinistra, con tanto di tuoni, fulmini e saette. Approfittando di un momento di debolezza del cielo impetuoso corriamo a cercar ristoro a “La Locanda del Borbone”, l’unica al chiuso (e con un menù da leccarsi i baffi).

Abbiamo la certezza di aver scelto bene in quanto accanto a noi è seduto Erminio Truncellito che, tempo permettendo, dalle 16.00 ci intratterrà con lo spettacolo “La foresta racconta”. Ma nulla cambia per ore, molte attività sono state sospese e questo cielo proprio non ha pietà. Alla fine Erminio se ne va riparandosi con un ombrello blu a fiori rossi (ma dove l’ha preso?) e la sua appariscente uscita di scena ci lascia l’amaro in bocca. Sono le 16.15 e noi siamo ancora alla Locanda, seduti a chiacchierare con il proprietario. Poi, l’illuminazione: parte il cd di De Andrè e finalmente è tregua. Il sole continua a sonnecchiare, ma almeno la pioggia si è arresa. Tutto è ancora in dubbio, il nostro destino dipende da come il tempo ha intenzione di trastullarsi nelle prossime ore.

Circa trenta minuti dopo viene confermato lo spettacolo teatrale “Imarcord – cronache lucane in versi, canti e quadri”. È una rappresentazione in chiave comica di alcuni miti tutti lucani, destinata in realtà a bambini e ragazzi, ma nessuno di noi ha intenzione di rinunciarvi. Intanto aprono alcuni stand di artigianato locale e chi vedo spuntare tra le varie creazioni? Il monachicchio – o meglio “u munacedd” come lo chiamano qui – con il suo cappuccio rosso ricco di promesse. Ne acquistiamo uno, la versione anti-iella, e poco dopo già comincia a schiarire. E proprio allo “spiritello monello”, evocato mediante un rituale a dir poco esilarante, è intitolato il primo atto di “Imarcord”. Seguono altre tre scenette, fra cui una dedicata al brigantaggio.

A questo punto ci viene comunicato che sta per cominciare lo spettacolo d’arte varia “Cum avibus” presso la falconeria. Continuiamo a sperare, ma ancora nessuno sa dirci con certezza se l’evento più atteso è confermato. Per il momento assistiamo entusiasti a questa incredibile rappresentazione al limite fra l’ammaliante e l’inquietante. Nel frattempo il freddo si insinua prepotente fin nelle ossa (le sedute sono completamente bagnate) e per riscaldarci ci concediamo un ottimo liquore alla liquirizia. Del resto dobbiamo festeggiare, perché adesso è ufficiale: il concerto in cassa armonica è saltato, ma “La storia bandita” ci sarà.

Avendo saziato a sufficienza i nostri stomaci grazie al gustosissimo quanto abbondante pranzo alla “Locanda del Borbone” e approfittando della distrazione degli spettatori affamati, ci precipitiamo a prender posto all’anfiteatro non appena viene permessa l’entrata. Una luna tonda e rossa che sembra disegnata e messa lì apposta per rendere lo spettacolo ancora più suggestivo ci scruta da lontano e lentamente si avvia verso le vette più alte. Mentre io m’ingegno a sistemare dei cuscini di fortuna per proteggerci dall’umidità sprigionata dalle sedute in legno, il mio amico per poco non tira fuori squadretta e goniometro per calcolare esattamente il centro della scena. Mi viene da ridere, ma tutto sommato anch’io spero in un’ottima visuale.

In realtà l’arena è vastissima (occupa circa 25.000 mq), arriva a coprire persino gli spazi che circondano la tribuna panoramica e sin da subito possiamo sperimentare la spettacolarità del 5D: le montagne alle spalle del “palcoscenico” entrano a far parte degli episodi narrati, così come il castello solitario di Brindisi di Montagna e il terreno ai piedi degli attori. Tutto il bosco partecipa affiatato alla messa in scena della vita di Carmine Donatelli Crocco, generale dei briganti in Basilicata. Ogni monologo mi fa sussultare il petto più dei boati dei cannoni francesi. Nonostante la distanza e la dispersività rendano impossibile distinguere i volti dei (circa 400) figuranti, grazie all’audio impeccabile, alle musiche a tema e alla gestualità precisa degli interpreti non è difficile lasciarsi coinvolgere: dall’infanzia fino agli ultimi istanti di vita di Crocco si ha la sensazione di essere parte integrante della sua esperienza, delle lotte che ha portato avanti, dei tradimenti che ha subito, delle speranze per le quali si è sacrificato. Libertà e solidarietà, mi sembra di toccarle con mano stasera, di vederle uscire dal loro involucro di parole vuote e abusate per tornare a riscattarsi e a riscattare uno dei più oscuri periodi della nostra memoria. Una storia difficile, “bandita” appunto, messa al bando dai vincitori che da sempre scrivono la Storia, ma proprio per questo ancora più affascinante.

Manca qualche minuto alle 23.00 e, tutti in piedi, ringraziamo con un applauso lungo e sentito gli artefici di questo grandioso evento, questo magnifico tributo al nostro passato troppo spesso calpestato. Non abbiamo ancora smaltito l’eccesso di emozione e commozione quando portiamo a termine l’ultima missione della giornata: trovare un passaggio per tornare a Villa Arcobaleno.

24 agosto

Stamattina ci siamo alzati molto presto, non solo e non tanto perché entro le 10.00 dobbiamo lasciare l’albergo, ma soprattutto perché il primo autobus utile per andare in paese passa alle 9.12 ed in genere spacca il minuto. In genere, sì, oggi invece dopo mezz’ora ancora niente. Chiamo Allegretti per assicurarmi che almeno a ritorno non ci lasci a piedi. Per il momento pollice in su. Un Doblò accosta e una squisita coppia toscana ci accoglie assieme ai nostri bagagli. Anche loro sono venuti qui per assistere al cinespettacolo e hanno deciso di trascorrere qualche ora a Brindisi in occasione della “Mattinata al Borgo medievale”. Stanno girando la Basilicata, sono stati a Valsinni e a Colobraro e proprio ieri hanno sperimentato il volo dell’angelo in coppia. Loro sì che sono coraggiosi, caspiterina. Il solo pensiero di quell’altezza mi fa venire un calo di zuccheri. Qui ci vuole un altro caffè.

Abbiamo un po’ di tempo prima che lo spettacolo itinerante abbia inizio. Un tour delle chiese è d’obbligo. Per cronaca registro che anche oggi c’è un matrimonio e la piazza è addobbata per accogliere gli sposi. Tanti auguri, ma avete bloccato il passaggio e il pullman degli attori tarda ad arrivare… solo alle 11,30 cominceremo a sentire le note di un flauto. Una dama e un giullare ci raggiungono alla chiesa ai piedi del castello e una “gatta” dà inizio alle danze. “Forestieri” ci chiama, ci intima di non ridere della sua storia di reclusione ai margini della società né delle tradizioni del paese. Con una filastrocca ci allontana e noi ci lasciamo guidare dalla melodia del flauto. Alcuni ragazzi ci narrano le vicende del castello, attualmente non visitabile perché in fase di restauro (dal 2005). In piazza toccherà invece alle ragazze riassumere la storia del paese (per ragioni di spazio rimando a: http://www.prolocobrindisimontagna.it/). Poi è la volta di una maga che ci illustra le proprietà dei suoi filtri magici. Ne ha per tutti i gusti e per tutte le esigenze, un po’ come le indulgenze, e qualche spettatore le farà da cavia. C’è anche una locandiera che ci offre ospitalità nonostante le scarse riserve – pane duro e scorze di formaggio – ,  un’abile giocoliera che si esibisce con il diablo e una vecchia che si lagna perché la Gatta ha fatto strage delle sue galline. E proprio la Gatta ci saluta e ci ringrazia, ripetendo come un disco rotto la sua filastrocca per gli “stranieri” incauti. La gran parte degli spettatori si sposta ora verso il laboratorio del miele, mentre noi ci affrettiamo invano per non perdere l’autobus delle 12.22…

Prendiamola “zen”. Se siamo sopravvissuti per due ore tra le vespe del San Carlo, possiamo farcela ovunque. Sarà sufficiente scovare uno spicchio d’ombra. Ci sistemiamo sulle scale di Via Madonna del Rosario, proprio a ridosso della piazza, e tra colpi di sonno e cruciverba trascorrono le prime tre ore. Ogni tanto un leggero tintinnio di campanelli attira l’attenzione dei miei timpani, m’illudo che ci sia un monacello con cui giocare. Ma nulla, da quando il bar “L’incontro” ha chiuso (peccato, avevano messo su Rino Gaetano) non c’è nessuno in giro, nessuno che ci guardi con curiosità o diffidenza, nessuno che spezzi il silenzio di pace dopo il baccano del matrimonio. Solo piccioni che tubano e foglie che ondeggiano al vento. Non me ne andrei di qui per nulla al mondo, soprattutto se per tornare a casa devo passare da Potenza.

E invece bisogna trovare la forza. Alla fine anche le 16.25 sono giunte e Allegretti è pronto a partire. Questa volta non siamo tanto fortunati, non c’è una fermata nei pressi della stazione centrale. Poco male, il numero 7 della Co.Tra.B. sosta proprio al Mobility Centre. Ops, è passato e non ci ha visti, nonostante gli abbia corso dietro e il benzinaio, avendo assistito alla scena, si sia sbracciato vistosamente. Numero 7, che tu sia maledetto. Altro che Co.Tra.B., noi Policoresi D.O.C. andiamo col “Piedibus”. Due chilometri e mezzo dopo siamo al capolinea della Liscio, in anticipo di un’ora e mezza sull’orario di partenza, con una felpa sulle spalle per reagire al freddo.

 

Sono le 23.30 e la giornata di oggi è stata così lunga, così piena, così straordinaria che riguardando le foto scattate solo stamattina mi sembra di rievocare ricordi lontanissimi. Il rientro, poi, è stato assai brusco. Quando mi sono catapultata giù dal pullman, smaniosa di tornare a casa per lavarmi e riposarmi, sono stata assalita dall’afa umida tipica della serata policoresi. Eppure ho provato una sgradevole sensazione di estraneità, come se fossi precipitata all’improvviso dall’altra parte del pianeta, quella che mai ho conosciuto. Mi sono guardata attorno – erano le 21,30 circa – e tutti indossavano delle semplici t-shirt, dei bermuda o dei pantaloncini. Toccando terra, con la mia felpa decisamente fuori luogo per il ritrovato clima marino, ho esclamato meravigliata “Che caldo qui!”. Ero stupita, stordita, a disagio. Probabilmente si è trattato di uno scherzetto della stanchezza. Ad ogni modo, a riportarmi alla realtà, ahimè, è stato un vero e proprio pugno nell’occhio: un cumulo di bustoni neri per la spazzatura che riposavano beati in un angolo del terminal. Ecco, sono tornata. Ora ricordo. Io vivo qui, non ho sbagliato fermata, non sono scesa dalle Dolomiti per trascorrere una vacanza al mare. Anche se è così che mi sento in verità. Sono stata via solo tre giorni, ma temo che me ne occorrano altrettanti per riabituarmi al mio ambiente.

Quante volte ho provato questa difficoltà tornando dall’università. All’epoca, però, rimanevo a Roma per mesi e mesi, ignorando le feste comandate e le elezioni, e quando rientravo, bè, avevo bisogno di un po’ di tempo per adattarmi al nuovo habitat. La prima volta che sono scesa dalla Capitale neanche sono riuscita ad orientarmi per le strade, persino per arrivare a casa mia avrei avuto bisogno di una cartina. E scavando ancora più indietro nel tempo, mi ritrovo a pensare agli anni di scautismo, quando ogni estate partivo per una quindicina di giorni in montagna. Il ritorno puzzava di smog, di vento caldo e temporali veloci, l’aria pesava come un macigno, più dello zainone che gravava sulle spalle. Anche allora tutto mi appariva diverso, lontano e sfocato, strano. Sono triste, sono arrabbiata. Sento l’estate andarsene senza chiedere il permesso, sento la realtà entrare nella mia testa senza neanche bussare. No, non sono ancora pronta per togliermi le scarpe da trekking e ricominciare la routine di tutti i giorni. Ma per quanto io mi sforzi di non pensarci è tutto finito e l’unica possibilità che ho per trattenere ancora l’incanto che mi ha tenuto compagnia fino ad un istante prima di scendere dal pullman… è scrivere un reportage. [Sara Calculli]

 

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